giovedì 3 aprile 2014

Tutto scorre...nulla si ferma.





"Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.” Joan baez


Nella nostra società la morte è vissuta soprattutto come un fattore medico. Ma essa in realtà è qualcosa di più: è un momento di enorme valore psicologico, emotivo, spirituale. Il nostro rapporto con la morte dipende dal nostro rapporto con noi stessi.
È curioso come un tema così forte come la morte, un tema che la società sfugge e nega, in realtà incuriosisca e quasi per assurdo attragga l’individuo, attivando in esso pensieri ed emozioni diverse. Questa considerazione nasce da un attenta osservazione e riflessione sulle discussioni emerse in gruppi differenti durante gli aperitivi filosofici che conduco da due anni. Pur affrontando tematiche diverse dalla morte spesso capita che il gruppo o alcune persone che vi partecipano, spostino il focus su tale argomento.
Questo mi fa riflettere che il nostro vivere in una cultura dell'immediato,dove ogni cosa si aggiusta e sostituisce non considerando la possibilità di altre variabili;  in realtà è un’ancora  alla quale ci si aggrappa per nascondere le nostre fragilità e paure. Nonostante ciò,  le persone hanno l’esigenza e il bisogno di parlare sulla morte. Si discute di essa come morte fisica e come morte simbolica. Simbolica nel senso di trasformazione, passaggio, cambiamento di vita, di crescita,  la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro. 
La paura e l'attrazione nel contempo per questa signora vestita di nero, difficilmente permette all'individuo di pensarla come una trasformazione, come un cambiamento da una situazione all'altra. Ma se pensiamo all’infanzia, all’adolescenza, alla maturità, vediamo che sono cicli della nostra vita che muoiono e che rinascono. Il bambino lascia il posto all’adolescente e l’adolescente al ragazzo e via discorrendo…ogni volta nasce un individuo diverso da ciò che era prima. Si cambia, ci si trasforma e per questo è inevitabile lasciar andare ciò che siamo stati per diventare ciò che siamo. Questo non significa che non conserviamo dentro di noi le memorie del passato anzi, è proprio su di esse che il nostro vivere continua, ma sono solo “memorie” perché ormai il cambiamento è stato messo in atto.
In fondo anche con la morte fisica, con la perdita di una persona cara, la sua memoria continua a vivere nel nostro cuore, nella nostra parte intima, è in noi e non ci lascerà perché fa parte del nostro essere ed è così che in fondo continua ad esserci. Non si pensa mai al legame che esiste tra nascere e morire. Certo, paragonare l'inizio con la fine, la gioia con il dolore non è sicuramente facile da accettare, ma l'atto del nascere è comunque una trasformazione, un morire. Muore il mondo della vita intrauterina: il bambino non può vedere, non sa parlare, ha una percezione solo confusa del suo corpo, non sa dove si trova, non è più protetto dal calore della placenta, si trova gettato fuori, esposto alla vita. Venire al mondo è un trauma, è paura… Il pianto è un grido come manifestazione dell’abbandono di un mondo protetto verso uno sconosciuto e duale, non più tutt’uno con la madre. Nel passaggio dalla vita alla morte non ci troviamo forse di fronte alla stessa inquietudine? Alla stessa paura del non conosciuto? Dell’abbandono? Dell’esser soli? Non è un caso che nel congedarsi dalla vita  si torni a chiamare la propria madre……

Forse...se imparassimo a vivere pensando che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo… vivremmo la vita come un dono che si rinnova, sentendo in ogni cellula del nostro corpo la gioia immensa di esserci! .